Villocentesi - Prelievo dei villi coriali

Ultima modifica 25.02.2020

La villocentesi è una tecnica diagnostica invasiva, basata sull'aspirazione di villi coriali sotto controllo ecografico e sulle successive analisi di laboratorio del tessuto aspirato.

Il razionale diagnostico della villocentesi risiede nella medesima origine cellulare di feto e villi coriali, entrambi derivati dallo zigote (cellula risultante dalla fusione tra ovocita e spermatozoo). Di conseguenza, i cromosomi dei villi coriali sono gli stessi contenuti nelle cellule fetali, ed il loro studio permette di diagnosticare anomalie cromosomiche del feto (tra cui la sindrome di Down) e svariate malattie genetiche (fibrosi cistica, sindrome dell'X fragile, sordità); su richiesta, la villocentesi consente anche di stabilire la paternità del feto.

L'analisi cromosomica (esame citogenetico) consente di individuare anomalie numeriche e strutturali dei cromosomi, mentre l'analisi genetica (esame molecolare) permette di evidenziare eventuali geni difettosi. Villocentesi transaddominale

Villocentesi: come si esegue

La villocentesi consiste nel prelievo, per via addominale o vagino-cervicale, di una piccola quantità di villi coriali (microscopiche ramificazioni che formano la parte più esterna della placenta).

Nella villocentesi transaddominale, dopo aver identificato il punto più idoneo, si sterilizza la cute circostante. Il campione coriale viene quindi aspirato sotto guida ecografica continua, attraverso un ago di 18-20 gauge fatto penetrare attraverso la parete addominale ed uterina, fino a raggiungere il trofoblasto (dove si trovano i villi coriali).

Villocentesi transcervicaleNella villocentesi transcervicale, il materiale coriale viene aspirato per mezzo di un catetere flessibile di polietilene, fatto passare attraverso il collo dell'utero; in alternativa il campione può essere prelevato tramite un'idonea pinza da biopsia. In entrambi i casi, comunque, la procedura viene sempre eseguita sotto controllo ecografico.

Tra le due modalità operative, nella maggior parte dei casi la scelta ricade sulla villocentesi transaddominale. La decisione può comunque variare in base a quanto evidenziato dall'esame ecografico preliminare, eseguito per stabilire l'epoca gestazionale (misurazione della lunghezza del feto e biometria del cranio), ma anche per valutare il grado di vitalità del feto (rilievo del battito cardiaco) e la sua posizione. Ancora, l'esame ecografico preliminare consente di scoprire eventuali gravidanze multiple, valutare la quantità di liquido amniotico, la posizione dell'utero e studiare la sede uterina su cui si è inserita la placenta. Tutti questi elementi serviranno al medico per stabilire la via d'accesso migliore per il prelievo dei villi coriali.

Nel corso dell'esame ecografico preliminare si potranno evidenziare anche eventuali controindicazioni temporanee od assolute alla villocentesi (anomalie uterine, miomi ecc.).

Dopo un'ora dal termine dell'esame si effettua un ulteriore controllo ecografico per valutare la vitalità del feto.

Quali sono i rischi della procedura, la villocentesi è dolorosa?

Il prelievo dei villi coriali si esegue in ambulatorio e non richiede anestesia o cure mediche particolari. Nel momento in cui l'ago viene inserito attraverso l'addome e l'utero, la donna può lamentare un dolore di tipo trafittivo, comunque lieve e di breve durata, seguito da piccoli crampi dovuti a contrazioni localizzate della muscolatura uterina. Sebbene la sensibilità al dolore sia un fatto prettamente soggettivo, la maggior parte delle pazienti descrive la villocentesi come un indagine poco dolorosa. Più che del dolore in sé, la maggior parte delle donne è quindi preoccupata del piccolo rischio di aborto connesso alla procedura. La villocentesi transaddominale è infatti gravata da un rischio di perdita fetale quantificabile in un un caso ogni 100-200 esami. Questo rischio va ad aggiungersi a quello di aborto spontaneo che esiste tra la decima e la dodicesima settimana, quindi del tutto indipendente dalla villocentesi o da altre procedure diagnostiche. Tale rischio, stimabile in 2-3 casi su 100, è significativamente associato all'età materna, ed aumenta sensibilmente dopo i 35 anni. Per quanto detto, le probabilità di perdita fetale attribuibili all'esecuzione della villocentesi risultano di difficile interpretazione; tutto ciò, unitamente al progressivo miglioramento delle tecniche diagnostiche e della sicurezza della procedura, spiega la presenza in letteratura di percentuali di rischio abortivo piuttosto diverse (si va dallo 0,5 al 3%).

Il rischio di aborto aumenta decisamente quando la procedura viene eseguita per via transcervicale (2-3%), e ancor di più se al posto del catetere flessibile si utilizza la pinza da biopsia. Numerosi altri fattori possono influire sul tasso di perdite fetali; il rischio decresce all'aumentare dell'età gestazionale (quindi un esame troppo precoce è assai rischioso), ed al grado di esperienza ed abilità dell'operatore, mentre aumenta all'aumentare dell'età materna, in presenza di mosaicismi placentari ed in caso di infissioni multiple dell'ago (a volte, seppur raramente (1% c.a. dei casi), è necessario ripetere puntura ed aspirazione per insufficienza di materiale prelevato; nei rarissimi casi di ulteriore insuccesso, di regola viene programmata un'amniocentesi 2-4 settimane dopo).

Dopo la villocentesi, in una percentuale variabile dal 2 al 6% dei casi, nelle ore successive al prelievo la gestante lamenta disturbi passeggeri, come crampi all'utero ed una lieve perdita ematica dai genitali; questo evento, entro certi limiti, non deve spaventare la donna, dato che non è statisticamente correlato con l'abortività. Più raramente possono insorgere sintomi come febbre, dolori e persino brividi, tutti sintomi che - al pari di eventuali emorragie consistenti - devono essere prontamente sottoposti all'attenzione medica.

Per evitare fenomeni di incompatibilità materno fetale, con conseguente malattia emolitica del neonato, nelle gestanti non immunizzate Rh negative con partner Rh positivo, dev'essere eseguita una profilassi con immunoglobuline anti-D (per approfondire: test di Coombs in gravidanza). Nel caso la donna risulti già immunizzata l'esecuzione della villocentesi è invece controindicata.

Cosa fare prima e dopo la villocentesi?

Durante la preparazione all'esame, normalmente non vengono dati consigli particolari; si raccomanda comunque di moderare il consumo di cibo nell'ultimo pasto prima della villocentesi e di evitare eccessive ansie ed infondate preoccupazioni.

Terminata la procedura diagnostica, dopo circa un'ora dal prelievo, viene effettuata un'ecografia per valutare il battito cardiaco fetale. Al termine della villocentesi, non è invece necessaria la somministrazione di antibiotici o farmaci miorilassanti (con lo scopo di prevenire contrazioni uterine); la paziente potrà quindi ritornare tranquillamente alle proprie attività abituali, con l'accortezza di evitare sforzi fisici intensi ed astenersi dai rapporti sessuali per un paio di giorni. L'uso della profilassi antibiotica post - villocentesi va invece effettuata se esistono fattori di rischio per corionamniotite.


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