Ultima modifica 02.10.2019

Quanti tipi di tumore della mammella ci sono?

Esso viene di solito classificato in duttale infiltrante ed in lobulare infiltrante, a seconda che origini dalle cellule dell'epitelio dei lobuli o da quelle dei dotti. Infiltrante perché si estende oltre l'epitelio, interessando anche le strutture vicine ed a volte anche lontane (metastasi ai linfonodi ed ad altri organi). Nel gruppo del carcinoma duttale infiltrante si trova un sottogruppo di tumori che viene chiamato carcinoma duttale infiltrante non altrimenti specificato (NAS), estremamente aggressivo e maligno, e che purtroppo rappresenta il 50% dei carcinomi mammari. Il carcinoma lobulare infiltrante, invece, si suddivide in cinque varietà: classica, solida, tubulo-alveolare e mista. La forma solida e quella tubulo-alveolare hanno una prognosi migliore degli altri tre.
Esiste poi ilcarcinoma di Paget, una variante a sé stante, in cui le cellule tumorali originano da quelle epiteliali del capezzolo, che appare arrossato, retratto ed a volte sanguinante. Questo tumore è spesso associato ad un carcinoma duttale infiltrante, più frequentemente di tipo NAS.
Il carcinoma infiammatorio è caratterizzato invece da un addensamento in rapida crescita, spesso dolente, con la cute sovrastante che appare calda, arrossata e tumefatta. Dà metastasi molto rapidamente e precocemente, soprattutto al sistema linfatico.
Infine, troviamo il carcinoma giovanile, che è molto raro ed ha una prognosi discretamente favorevole.

Sintomi e segni tumore al seno

Per approfondire: Sintomi tumore al seno


La sintomatologia dipende dal tipo di tumore, dal suo diametro, dalla sua diffusione, e dall'età della paziente. Nelle forme iniziali, avremo una sintomatologia precoce, caratterizzata dalla presenza di una massa singola, generalmente minore di 5 centimetri di diametro, ma con un volume comunque estremamente variabile, di consistenza dura, fibrosa, quasi lignea (come il legno) a margini mal definibili, mobile o poco mobile sui piani sottostanti superficiali e profondi. Essa può anche non essere dissociabile dai tessuti circostanti ed inizialmente non è dolorosa. Possono coesistere modiche erosioni o tumefazioni o secrezioni sierose o di sangue dal del capezzolo, increspamento della cute sovrastante, aumento di volume dei linfonodi ascellari dallo stesso lato del seno malato, che sono comunque ancora mobili. Segni tardivi, tipici di un tumore già avanzato, sono invece dovuti alla presenza di una massa di volume considerevole, maggiore di 5 centimetri, fissa, non mobile, rispetto ai piani sottostanti (muscolo pettorale e parete toracica), con associati edema (gonfiore) della mammella, che risulta anche arrossata, dolente, con tumefazione aderente alla cute (pelle a buccia d'arancia) e sua infiltrazione od ulcerazione, a volte noduli cutanei (tumori secondari che si sono staccati dalla massa principale), linfonodi ascellari aumentati di volume e fissi ai piani sottostanti, retrazione del capezzolo, a volte edema del braccio dallo stesso lato del tumore.
Il tumore può diffondere ad organi vicini, come il polmone, oppure per via linfatica, ai linfonodi dell'ascella, attraverso il sangue, alle ossa, al fegato ed al cervello.

Diagnosi

Vedi anche: CA 15-3: antigene tumorale 15-3

 

Molto importante è interrogare la paziente (anamnesi), per conoscere l'esistenza di un eventuale fattore di rischio, soprattutto per un tumore della mammella in famiglia. Successivamente il medico passerà all'ispezione, per vedere eventuali asimmetrie di forma o di volume di un seno rispetto all'altro, ed alla palpazione, che va fatta a paziente distesa con le braccia dietro la testa: andrà a valutare consistenza, volume, dolorabilità e mobilità del nodulo rispetto ai piani sottostanti. Si passerà poi alla diagnosi strumentale: la mammografia a tutte e due le mammelle (bilaterale) è indispensabile per programmare qualsiasi procedura di diagnosi ed anche di terapia. Essa può evidenziare un tumore prima che la massa diventi palpabile (fase preclinica) e riconosce circa il 70% delle lesioni più piccole di 1 centimetro grazie alla tecnica stereotassica, cioè la configurazione tridimensionale dell'area sospetta. Il vantaggio principale della mammografia è quello di essere l'esame più affidabile per vedere le lesioni di piccolo diametro. Gli svantaggi invece riguardano la sua specificità ridotta in un seno di donne giovani o nell'individuazione di un tumore molto periferico. Una volta individuata la lesione con la mammografia, si passerà all'iter successivo, cioè l'esame citologico mediante agoaspirato: con un ago sottile, sotto la guida dell'ecografia, viene aspirato del materiale dalla lesione, che verrà poi analizzato al microscopio per vedere che tipo di cellule lo formino (se maligne o benigne). L'esame citologico può essere eseguito anche sulle secrezioni che fuoriescono dal capezzolo, oppure su qualsiasi tumefazione dubbia. Nel caso in cui questo accertamento non sia stato eseguito, o comunque non abbia risolto il dubbio sulla diagnosi, si effettuerà una biopsia, cioè un piccolo intervento chirurgico per asportare un pezzettino di lesione tumorale, che verrà ulteriormente analizzata al microscopio per vedere quanto tessuto circostante è stato invaso (esame istologico).
L'ecografia viene indicata soprattutto per differenziare le cisti, ripiene di liquido, dalle lesioni solide, come approfondimento diagnostico nelle lesioni palpabili dubbie in associazione alla mammografia, e come guida per eseguire l'aspirazione con ago sottile. Ha una bassa sensibilità per le lesioni minori di un centimetro, ma è da preferire come strumento di controllo nelle giovani con meno di 30 anni, che hanno un seno denso meglio esplorabile con questa tecnica.

Esiste infine un esame chiamato duttogalattografia, che consiste nell'iniettare con un ago una sostanza radioattiva colorata nei dotti mammari. Se c'è una massa, ai raggi X si vedrà un difetto di riempimento degli stessi dotti col colorante. Non mi differenzia tra lesioni benigne e maligne, ma è indicata nel caso di secrezioni sierose od ematiche dal capezzolo o nel sospetto di un tumore duttale.

Screening

Autopalpazione del seno

Molto importante è l'autopalpazione del seno, che la donna dovrebbe effettuare a partire dai 20 anni ogni mese, preferibilmente nella settimana in cui ha appena finito le mestruazioni (il seno è meno gonfio), stesa e con un braccio dietro la testa. La mano controlaterale deve partire dal capezzolo e, con movimenti circolari di palpazione prima leggera e poi più profonda,  andare a sondare tutto il seno, fino al torace, ed anche i linfonodi ascellari. Anche il ginecologo od il medico di famiglia possono valutare il seno della paziente, qualora richiesto dalla stessa.
Dai 20 ai 40 anni, oltre all'autopalpazione, la donna dovrebbe effettuare una visita senologica almeno una volta ogni tre anni, soprattutto se assume la pillola anticoncezionale; qui le verranno effettuate una visita più approfondita ed un ecografia.

Mammografia

Per approfondire: Mammografia


La prima mammografia va eseguita a 40 anni, e di qui ogni 12 mesi. Nelle pazienti a rischio per familiarità o altro, si deve invece iniziare a 30, e poi sempre una volta l'anno. Se è presente un nodulo palpabile non maligno, la mammografia va ripetuta dopo 6 mesi.

Se il nodulo è sospetto di essere maligno, ma è minore di 2 centimetri, ne va fatta una dopo 2 mesi per vedere se è cresciuto o meno; se è sospetto e maggiore di 2 centimetri, va subito fatto l'agoaspirato. Dopo i 55 anni, la mammografia può essere eseguita ogni due anni invece che una volta l'anno, poiché l'età più a rischio per svilupparlo va dai 40 ai 50-55 anni ed invece, dopo la menopausa, il seno va incontro ad un certo grado di atrofia.

Terapia chirurgica

Per approfondire: Mastectomia


Per molti anni la mastectomia totale (asportazione di tutta la mammella) ha rappresentato la terapia del CDIS (carcinoma duttale in situ); tuttavia, pur riducendo il numero di recidive locali (con la mastectomia erano 1-2%, oggi, senza mastectomia totale, sono il 15-20%), essa non conferisce alcun miglioramento della sopravvivenza rispetto alla chirurgia conservativa (asportazione solo di un pezzo della mammella → mastectomia parziale).

Inoltre, oggi si utilizza anche la radioterapia dopo l'operazione chirurgica: essa riduce il numero di recidive locali nelle pazienti non sottoposte a mastectomia totale ed è attualmente da considerarsi un trattamento standard per la maggioranza delle pazienti affette da CDIS.

Tutto sommato, però, sebbene la maggior parte delle donne affette da CDIS siano candidate ad una chirurgia conservativa, la mastectomia totale è ancora il trattamento di scelta in caso di piccole lesioni tumorali diffuse a tutta la mammella.

Infine, è stata vista l'efficacia delle cure ormonali con un farmaco chiamato tamoxifene nel ridurre il rischio di recidiva locale e di tumore della mammella controlaterale. Esso è un composto anti-estrogeno, ovvero impedisce che gli estrogeni possano far proliferare le cellule tumorali.
La mastectomia radicale risale al 1894, e rappresenta l'applicazione pratica di una teoria secondo la quale il tumore è una malattia che diffonde dalla sede in cui origina ai linfonodi vicini (regionali) seguendo i vasi linfatici (che portano ad essi) in maniera ordinata.
Lo sviluppo di tecniche chirurgiche più conservative, e quindi che evitano di asportare un'intera mammella, nasce invece dal concetto secondo il quale il tumore mammario è una malattia che, sin dal suo esordio, interessa tutto il corpo (interessamento sistemico), per la frequente presenza, fin dall'inizio, di sue metastasi microscopiche in midollo osseo, fegato e polmoni. Ne consegue che, secondo questa teoria, la chirurgia radicale non migliora la sopravvivenza, che invece può essere migliorata associando alla chirurgia conservativa la radioterapia o la chemioterapia.
A partire dagli anni '70, numerosi studi hanno dimostrato che non vi sono differenze, in termini di prognosi, tra il trattamento conservativo ed una chirurgia più radicale e deturpante. Per le pazienti con tumori nei primi stadi è da raccomandarsi la chirurgia conservativa seguita dalla radioterapia, salvo una diversa preferenza della paziente od in presenza di controindicazioni. In ogni caso, la scelta del tipo di trattamento chirurgico deve tenere conto delle preferenze della donna, dato che il trattamento conservativo implica la disponibilità a sottoporsi per 5-6 settimane a sedute quotidiane di radioterapia e ad accettare il rischio di recidiva locale dell'ordine del 10%, che è superiore a quello delle pazienti sottoposte a mastectomia totale.



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