A cura della Dottoressa Giovanna Taranto
RAGGIUNGIMENTO DEL PICCO DI MASSA OSSEA (BMD)
Il picco di massa ossea che la donna raggiunge durante l'arco della vita si ha al termine della pubertà fino ai 30 anni, dopo inizia a diminuire fino all'inizio della menopausa, momento in cui il calo aumenta in modo esponenziale fino ai 60 anni circa, per poi riprendere una lenta ma costante discesa.
Più alto è il picco di BMD maggiore sarà il tempo necessario, con l'instaurarsi della menopausa, per entrare a far parte della fascia ad elevato rischio fratture. Quindi è importante che durante l'infanzia e la pubertà la giovane donna mantenga delle condizioni di salute, alimentazione ecc. tali da raggiungere il maggior picco di densità ossea possibile, anche in relazione alla determinante genetica.
Nelle giovani atlete impegnate in sport di alto livello, che richiedono un grosso impegno sia fisico che psicologico per raggiungere i risultati sperati, è facile che l'età del menarca si sposti in avanti, e un menarca ritardato può avere effetti negativi sulla densità ossea, pregiudicando il raggiungimento del picco di massa ossea. Se inoltre si aggiungono disequilibri dell'asse riproduttivo protratti nel tempo, la densità ossea diminuisce fino a valori patologici e di forte rischio di fratture da stress.
Un inadeguato turn-over del tessuto osseo, regolato anche dagli Estrogeni, porta a diminuzione della densità ossea (BMD: Bone Mineral Density) e, di conseguenza, a disturbi quali Osteopenia (Diminuzione della densità ossea rispetto alla norma con un T-score da -1DS a -2,5 DS)* e Osteporosi (diminuzione della densità ossea più grave con un T-score > -2,5 DS).

Fig. 3: nell'immagine si nota una diminuzione delle trabecole del tessuto osseo tra un soggetto normale ed uno con diminuita BMD**
*T-Score: indice di densità ossea della donna esaminata rispetto a quella media di una popolazione di riferimento in età giovanile e non affetta da patologie.
DS= deviazione standard
** Bone Mineral Density: densità ossea
COME SI PUO' INTERVENIRE?
Riconoscere i segni e i sintomi il più precocemente possibile è la chiave per limitare al minimo i danni.
Fondamentale il ruolo delle persone più vicine all'atleta nell'individuare i primi sintomi e intervenire con un sostegno psicologico, magari su consiglio del medico di famiglia.
In caso di disturbi più avanzati l'ACSM (American College Of Sport Medicine) consiglia l'aumento dell'introito calorico e la diminuzione della spesa energetica sotto la supervisione di un nutrizionista coadiuvato dal supporto psicoterapeutico.
Nei casi più gravi vengono utilizzati anche farmaci antidepressivi, sempre sotto stretto controllo medico.
Rimane fondamentale la prevenzione sia da parte dell'insegnante/allenatore, sia da parte della famiglia per evitare uno stress tanto grave da causare i problemi correlati alla Triade.
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