Differenza tra antinfiammatori e antivirali nella cura del Covid-19

Differenza tra antinfiammatori e antivirali nella cura del Covid-19
Ultima modifica 12.09.2022
INDICE
  1. Come evolve il Covid-19
  2. Quando servono gli antinfiammatori
  3. Quando servono gli antivirali
  4. Farmaci da non usare

Quando si parla di terapie per il Covid-19 vengono citati quasi sempre antinfiammatori e antivirali. Se non si ha troppa dimestichezza è facile confonderli ma in realtà si tratta di due tipologie di farmaci molto diverse e per questo usate in differenti casi e non per gli stessi obiettivi.

Gli antinfiammatori possono infatti aiutare a ridurre i sintomi del Covid-19, anche se è bene specificare che, come scritto sulle linee guida sul trattamento del virus redatte dal Ministero della Salute, pur essendo utili nel migliorare lo stato di salute, non rappresentano la cura definitiva.

Gli antivirali invece diminuiscono in maniera significativa le probabilità di ricovero e decesso nelle persone a rischio.

Come evolve il Covid-19

L'infezione da Sars-Cov-2 si compone di tre fasi. Durante la prima, la più acuta e definita anche virale, il virus entra nelle cellule grazie all'interazione con il recettore ACE2. È questo il momento in cui l'infezione si moltiplica nelle vie aeree causando febbre, tosse secca e altri sintomi.

Teoricamente tale fase dovrebbe risolversi spontaneamente senza bisogno di interventi specifici ma se l'infezione non scompare in poco tempo e la carica virale aumenta, la persona colpita sviluppa un'infiammazione polmonare che si manifesta con tosse, febbre e difficoltà respiratorie. Se nemmeno questa fase si risolve si può sfociare nella terza, durante la quale a creare danni non è più il virus in sé ma l'infiammazione sistemica collegata, che nei casi più gravi può portare a morte.

Quando servono gli antinfiammatori

Siccome l'infiammazione è una caratteristica tipica di molte infezioni virali, già dal marzo 2020, quando in tutto il mondo iniziavano i primi lockdown e gli studi inerenti al Covid-19 erano solo all'inizio, il Ministero della Salute aveva diramato protocolli che prevedevano l'utilizzo di antinfiammatori.

A distanza di anni, ancora oggi la terapia sintomatica di Covid-19 che punta ad alleviarne i sintomi prevede innanzitutto l'utilizzo del paracetamolo o dei FANS, farmaci antinfiammatori non steroidei, in caso di febbre, dolori articolari e muscolari, evitati solo se al paziente sia stato sconsigliato il loro utilizzo.

Se la persona colpita dal virus non riesce più a saturare da sola e in modo soddisfacente ma necessita di ossigeno extra, si possono somministrare anche corticosteroidi. L'uso di questi ultimi è però sconsigliato nei momenti iniziali, perché invece di migliorare la situazione potrebbero creare danni ulteriori, alla luce del fatto che nella fase attiva di replicazione del virus l'infiammazione gioca un ruolo importante nel debellare il virus.

Se anche con i corticosteroidi la situazione peggiora, è necessario il ricovero ospedaliero e il trattamento con eventuali altri farmaci, in base al quadro clinico generale che si presenta.

Nonostante fin dalle prime fasi della pandemia siano state seguite queste linee guida, stabilire quanto l'utilizzo precoce degli antinfiammatori influisca sulla riduzione dei ricoveri è invece piuttosto difficile, come dimostra anche una revisione dei ricercatori dell'Istituto di ricerche farmacolgiche Mario Negri di Milano pubblicata su Lancet Infectious Diseases, che ha analizzato diversi studi in merito. Alla fine ciò che è emerso è che se è vero che avvalersi di queste molecole possa aiutare nelle prime fasi della malattia, è tuttavia necessario non cedere a facili entusiasmi perché i dati a disposizione sono ancora pochi.

Quando servono gli antivirali

Gli antivirali, a differenza degli antinfiammatori che agiscono sui sintomi, interferiscono in modo diretto con la replicazione del virus. Entrando nello specifico, al momento sono due quelli approvati per contrastare il Covid-19: Nirmatrelvir + ritonavir (Paxlovid) e molnupiravir (Lagevrio).

Il compito di questi farmaci è bloccare i meccanismi che Sars-Cov-2 mette in atto per riprodursi, evitando che il virus si replichi. Per questo essere tempestivi nella somministrazione è fondamentale. Temporeggiare e superare la fase virale e più precisamente i 5 giorni dallo sviluppo dei sintomi, rende infatti il trattamento poco utile.

Rispetto a quanto avvenuto per gli antinfiammatori, prima che gli antivirali fossero approvati sono stati realizzati trial clinici rigorosi, che alla fine hanno confermato la loro efficacia nell'evitare ospedalizzazione e morte, riscontrata poi anche su diversi studi svolti sulla popolazione.

Uno dei più importanti, pubblicato dal New England Journal of Medicine, ha preso in considerazione un campione di oltre 100 mila persone e alla fine ha rilevato che l'uso precoce di Paxlovid ridurrebbe il rischio di ricovero e morte dell'80% nelle persone di più di 65 anni.

Sugli individui più giovani però, l'effetto non sarebbe così significativo e ciò indica che l'utilità degli antivirali nell'abbassare il rischio di conseguenze gravi relative alla Covid-19 sia molto più incisiva negli anziani.

Farmaci da non usare

Antinfiammatori e antivirali hanno dunque utilizzi e modalità di assunzione diversi ma entrambi possono rivelarsi preziosi.

Esistono invece farmaci che nonostante siano stati a volte citati in merito alla lotta contro il Covid-19, risultano inutili o dannosi e quindi non dovrebbero mai essere utilizzati, come specificato dall'AIFA. Si tratta di dell'idrossiclorochina, dell'ivermectina e dell'antibiotico azitromicina, quest'ultimo da usare solo in caso di sovrainfezione batterica in seguito a Covid-19.

 

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