Infezione da HIV e sindrome da immunodeficienza acquisita

Ultima modifica 18.07.2019

Terapia

Le attuali possibilità di trattamento delle varie fasi dell'infezione da HIV e delle patologie associate comprendono la terapia antiretrovirale, la profilassi (prevenzione) primaria e secondaria delle infezioni opportunistiche, la terapia delle infezioni opportunistiche e dei tumori HIV-correlati, l'impiego di fattori di crescita, protettori cellulari, modificatori della risposta biologica ed infine le terapie di supporto e le cure palliative.

Terapia antiretrovirale

Per approfondire: Farmaci per la cura dell'AIDS


Le caratteristiche strutturali del retrovirus lo rendono sensibile a diversi composti. Molte sostanze sono in grado di inibirne la replicazionesolo in laboratorio (in vitro); soltanto alcune, però, giungono all'impiego clinico. I farmaci che possono essere utilizzati nell'infezione da HIV dovrebbero infatti rispondere ai seguenti requisiti: scarsa o nulla tossicità (la lenta evoluzione della malattia prevede trattamenti di mesi o anni), capacità di penetrare all'interno delle cellule-bersaglio (il genoma di HIV è integrato come provirus nel DNA delle cellule ospiti) e di superare la barriera ematoencefalica, struttura vascolare  che separa il sistema nervoso centrale (uno dei più classici réservoirs del virus), disponibilità di formulazioni somministrabili per via orale.


L'infezione o la propagazione dell'infezione possono essere evitate interferendo nel processo di adesione del virus con la superficie della cellula-bersaglio (il linfocita T CD4 +), ed attualmente sono in fase di sviluppo clinico sostanze in grado di impedire tutto ciò. Inoltre, è in commercio un farmaco (enfuvietide) in grado di interferire con la fusione di HIV con la stessa cellula bersaglio.
Inoltre, esistono molteplici potenziali punti d'attacco di HIV nelle varie fasi del suo ciclo di replicazione ed i farmaci in grado di inibire l'attività replicativa del virus si basano attualmente su tre principali meccanismi di azione:

  • inibizione della trascrittasi inversa,  per  impedire  al  virus  di trasformare RNA in DNA e di integrarsi nel genoma della cellula ospite ;
  • inibizione dell'integrazione del DNA provirale nel DNA cellulare per evitare la produzione di nuove proteine virali;
  • inibizione delle successive fasi (assemblaggio e rilascio delle particelle virali complete) per impedire la formazione di nuovi virus.

È ormai dimostrato che la terapia combinata, con farmaci ad effetto sinergico, sia preferibile alla monoterapia per raggiungere tre principali obiettivi: l'efficace soppressione della replicazione virale indispensabile per il miglioramento della risposta immunitaria; l'inibizione o il rallentamento dell'insorgenza di resistenze; l'intervento specifico su differenti serbatoi cellulari o tissutali del virus.

Attualmente la decisione di quando iniziare la terapia antiretrovirale dev'essere valutata considerando il numero dei linfociti CD4+ e l'entità della viremia plasmatica. Il cambiamento dei farmaci avviene alla ripresa della replicazione virale, soprattutto quando seguita da riduzione dei CD4 o da peggioramento clinico. Il riconoscimento dei soggetti che presentano un maggior rischio di evolvere in malattia conclamata riveste oggi particolare rilevanza a causa della sempre crescente disponibilità di farmaci. Alcuni indicatori si sono dimostrati di particolare utilità e vengono definiti "markers o indicatori di progressione"; possono essere distinti in virologici, immunologici e clinici.
Tra gli indicatori virologici, quello abitualmente usato è la viremia plasmatica (il grado di replicazione virale). Le concentrazioni plasmatiche dell'RNA dell'HIV riflettono la velocità di replicazione del virus attiva e conseguentemente la distruzione delle cellule T CD4.
Gli indicatori immunologici prendono in considerazione lo stato di deficienza immunitaria: nel corso della fase di cronicità dell'infezione, il numero dei linfociti T CD4+ diminuisce, e la riduzione è strettamente associata allo sviluppo di infezioni opportunistiche e tumori. È naturale, quindi, considerare la riduzione dei linfociti CD4+ un importante indicatore di progressione dell'infezione: rapide diminuzioni del numero assoluto e delle percentuali di CD4 (superiore al 10% per anno = "rapid decline") sono un segno sfavorevole.
I marker clinici abituali sono la candidosi orale, la leucoplachia orale villosa, l'herpes zoster, la dermatite seborroica, la linfoadenomegalie persistente, una rilevante perdita di peso ed una febbricola costante.
Il marcatore di prognosi ritenuto attualmente più affidabile di evoluzione clinica e di monitoraggio dell'efficacia della terapia è rappresentato dalla conta dei linfociti CD4.
Ai fini di un corretto controllo clinico di tutti i soggetti sieropositivi asintomatici, si ritiene sia sufficiente prescrivere una determinazione della viremia plasmatica  dopo  circa  6-9  mesi  dall'infezione  acuta  ("setpoint"), ogni 3-4 mesi nei pazienti mai trattati, all'inizio della terapia, 4 settimane dall'inizio e ogni 3-4 mesi durante la terapia ed all'insorgenza di un evento clinico.
Di regola viene indicata la terapia antiretrovirale in presenza di eventi clinici AIDS-correlati, quando la carica virale supera le 30.000 copie di virus su millilitro di sangue, o quando i linfociti CD4 risultano inferiori ai 350 su microlitro.



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