Carboidrati nella dieta: quali scegliere e evitare per dimagrire
In questo breve articolo parleremo della relazione tra carboidrati nella dieta e composizione corporea, cercando di comprendere se scegliere "l'alimento giusto" possa fare realmente ottimizzare il dimagrimento o, viceversa, se "quello sbagliato" predisponga all'accumulo di massa grassa.
Cosa c'è da sapere sui carboidrati
I carboidrati sono macronutrienti energetici (3,75 kcal / g) abbondantemente presenti negli alimenti di origine vegetale – esistono anche glucidi con funzioni differenti e molto importanti ma, quantitativamente, dal punto di vista nutrizionale hanno un'importanza relativa.
Ne esistono vari tipi, che si differenziano principalmente in base alla struttura molecolare e alle relative proprietà chimico fisiche.
Poiché l'unico carboidrato che le cellule umane possono utilizzare in maniera diretta è il glucosio –raramente presente "così com'è" nei cibi – l'organismo ne conserva delle riserve (glicogeno) sia nel fegato che nei muscoli, ed è inoltre capace di ricavarlo in diversi modi.
- Quello principale è l'elaborazione di altre tipologie di carboidrati alimentari – soprattutto:
- Quello secondario è la cosiddetta neoglucogenesi, un processo basato sulla trasformazione in glucosio di altre molecole quali:
- Amminoacidi glucogenici;
- Glicerolo;
- Acido lattico.
L'efficiente capacità di ottenere glucosio in diversi modi e la presenza di due differenti tipologie di riserve rendono i carboidrati alimentari non essenziali nel breve e nel medio termine, ma lasciano anche dedurre quanto importante sia questo elemento per noi umani.
Esistono infatti dei tessuti corporei la quale funzionalità e sopravvivenza dipendono strettamente dai livelli di glucosio nel sangue; questi sono: sistema nervoso centrale o SNC (encefalo, midollo spinale), midollare del rene, midollo osseo, globuli rossi (o eritrociti), globuli bianchi (o leucociti), retina, cristallino e testicoli.
È pur vero che l'organismo è dotato di una certa adattabilità. La carenza cronica di glucosio ne aumenta la capacità di consumare lipidi (nei tessuti in grado di farlo) e corpi chetonici – ovvero un residuo dell'incompleto metabolismo degli acidi grassi e di certi amminoacidi (chetogenici).
Ecco perché il fabbisogno di carboidrati alimentari è un argomento molto spinoso; non tutti concordano sui livelli minimi e massimi tollerabili, e nemmeno su quelli ottimali.
Quanti carboidrati nella dieta?
In una dieta "più o meno bilanciata", i carbo totali dovrebbero occupare pressappoco la metà delle chilocalorie totali (45-65%) – i grassi e le proteine forniscono il resto dell'energia.
Il solo SNC ne richiede pressappoco 120 g/die, che equivale a circa la metà dell'intake giornaliero per un soggetto di corporatura e livello di attività fisica "medi". 180 g/die (2,6 g/kg di normopeso corporeo) è considerato il minimo sindacale per mantenere l'omeostasi nel lungo termine in un soggetto medio e sedentario.
L'attività motoria intensa, la dieta ipocalorica, la carenza di grassi e la carenza di proteine, com'è deducibile, aumentano esponenzialmente (direttamente o indirettamente) l'importanza e l'utilizzo di glucosio da parte dell'organismo. 210-220 g sono un apporto normale per soggetti "medi che si muovono" (3,0-3,2 g/kg di peso corporeo).
Una persona sana che segue una dieta lowcarb, tagliando completamente i carboidrati, non muore, ma non è nemmeno nel pieno delle sue forze e potenzialità - potrebbe andare incontro ad effetti indesiderati, ma ciò dipende da molte variabili.
Impatto metabolico dei carboidrati
In passato si reputava che i carboidrati avessero un impatto metabolico differente in base alla loro natura chimica (semplici, complessi). Oggi sappiamo che questo parametro è "quasi trascurabile".
I carboidrati semplici, che le linee guida suggeriscono di mantenere al 10-12%, se presenti a livelli superiori ma nel contesto di una ripartizione globalmente adeguata e di una dieta normocalorica, anche in quantità superiori, non costituiscono un reale problema sul piano metabolico di una persona sana ed insulino-sensibile – ma possono causare problemi di carie dentaria.
Si è poi passati a considerare l'indice e il carico glicemico (CG) e insulinico dei singoli alimenti e, in seguito, dei pasti interi. Ma ancora una volta i risultati hanno dimostrato che i fattori davvero importanti sono lo stato di salute, il bilancio calorico e la sensibilità insulinica – non l'indice o il carico glicemico-insulinico.
Ma allora: perché esistono così tanti regimi dimagranti basati sulla scelta specifica dei carboidrati? E perché molti sostengono che funzionino bene?
Sensibilità insulinica e resistenza insulinica
Lo abbiamo in realtà già spoilerato nel paragrafo precedente: non è il tipo di carboidrato – in realtà, nemmeno l'alimento in sé – a fare la differenza, ma la condizione generale dell'organismo che se ne nutre.
Per comprendere quest'affermazione tuttavia, dobbiamo avere chiaro il meccanismo che sta alla base dell'utilizzo cellulare del glucosio.
Il glucosio entra nei tessuti insulino-dipendenti grazie all'intervento dell'insulina. sullo specifico recettore e della conseguente liberazione del trasportatore specifico:
- L'insulina viene riversata nel sangue dal pancreas, in seguito all'assunzione di un pasto;
- L'insulina si lega alle cellule dei tessuti insulino-dipendenti, su specifici recettori di membrana di tipo tirosin-chinasico;
- Così facendo, l'insulina comunica alla cellula di "diventare ricettiva" al glucosio, proprietà che si manifesta grazie alla liberazione dei trasportatori GLUT-4, normalmente contenuti in vescicole citoplasmatiche.
Oltre a consentire l'ingresso del glucosio nelle periferie (abbassando la glicemia), l'insulina fa entrare molti altri nutrienti, favorisce la glicolisi, promuove la sintesi di glicogeno, di acidi grassi, di proteine, e blocca la demolizione proteica, la lipolisi e la glicogenolisi.
L'importanza di questi processi dipende, ovviamente, dal tessuto in oggetto.
I principali tessuti insulino-dipendenti sono quello muscolare e quello adiposo. Il primo sfrutta l'insulina soprattutto (ma non solo) per promuovere le riserve di glicogeno e per sintetizzare nuove proteine. Il secondo, invece, per la captazione, la produzione e lo stoccaggio dei trigliceridi di riserva.
Un'azione elevata/eccessiva dell'insulina promuove dunque questi processi in entrambi i tessuti, con notevoli vantaggi nel primo caso, ma anche svantaggi nel secondo.
Nel senso che l'anabolismo del tessuto contrattile porta ad effetti positivi sulla composizione corporea (crescita muscolare), mentre l'anabolismo del tessuto adiposo induce effetti negativi (aumento della massa grassa).
In condizioni normali, il flusso di insulina liberata è proporzionale a:
- quantità di macronutrienti circolanti – il glucosio, certi amminoacidi (AA) e certi acidi grassi (AG) sono più insulino-stimolanti di altri;
- velocità di digestione-assorbimento-metabolismo degli stessi.
Prima di tutto, quindi, nei pasti abbondanti l'indice glicemico (IG) e insulinico (II) dei pasti non ha alcuna rilevanza.
Quando i muscoli sono normalmente insulino-sensibili e la dieta è normocalorica, il problema non si pone.
Purtroppo però, alcuni fattori (ambientali e soggettivi) pregiudicano la sensibilità insulinica; parliamo di: sovrappeso, sedentarietà e condizioni genetico-ereditarie dismetaboliche.
In tali circostanze si instaura la cosiddetta resistenza insulinica:
- l'insulina non si lega efficacemente ai suoi recettori muscolari;
- la glicemia rimane troppo elevata e per troppo tempo – con possibili danni da glicazione ecc.;
- di conseguenza aumenta e rimane alta troppo a lungo anche l'insulinemia;
- il fegato trasforma gran parte del glucosio in acidi grassi, promuovendo la trigliceridemia;
- l'insulina finisce per interagire prevalentemente con il tessuto adiposo (invece, sempre sensibile) che continua nel suo processo di lipogenesi e deposito di trigliceridi.
Quali carboidrati scegliere e quali evitare
Non esistono carboidrati buoni o cattivi, tanto meno carboidrati che fanno ingrassare o dimagrire.
Cerchiamo quindi di riassumere alcuni concetti-chiave, nel tentativo di sfatare alcuni miti e rispettando la corretta informazione:
- La pertinenza o meno di un alimento, così come della sua porzione, dipende dalla sensibilità insulinica dell'organismo che lo assume – la quale dipende a sua volta dal fabbisogno, dal bilancio calorico, dalla condizione delle riserve di glicogeno, dalla finestra anabolica post-esercizio, dalla presenza o meno di malattie metaboliche genetico-ereditarie ecc.
- Tutti i macro- energetici stimolano l'insulina, non solo i carboidrati;
- La resistenza insulinica si cura, prima di tutto, con il dimagrimento e l'esercizio fisico – alcuni integratori possono aiutare (ad es. l'inositolo e la cannella). L'indice glicemico può avere un'applicazione nella terapia nutrizionale dei diabetici o degli iper-insulinemici, ma subordina alla quantità di macronutrienti del pasto;
- Per ridurre l'indice glicemico è possibile abbinare i cibi ad alto IG a altri contenenti fibre o proteine; banalmente, anziché consumare pasta integrale, è possibile scegliere pasta bianca e condirla con della verdura o tonno o carne o pesce o uova – la porzione andrà adeguata da renderla isocalorica;
- Per dimagrire è necessario impostare un bilancio calorico negativo previa dieta ipocalorica; l'indice glicemico e il carico glicemico degli alimenti e dei singoli pasti non hanno una grande rilevanza, a patto che la ripartizione dei macro sia "sufficientemente" prossima all'equilibrio;
- Le diete a basso indice glicemico funzionano perché i cibi ricchi di carbo ma "dietetici" con questa peculiarità apportano anche meno calorie – un bombolone alla crema ha basso IG ma non fa dimagrire;
- Lo sportivo non deve cercare la "calma insulinica". Al contrario, un alto carico ed indice glicemico-insulinico sono molto utili nel post-allenamento, perché sfruttano la maggior ricettività muscolare ai nutrienti e all'insulina, bloccando il catabolismo e anticipando il ripristino delle riserve energetiche e la proteosintesi.
A scopo dimagrante, se possibile, ha sempre senso scegliere i cibi ricchi di carbo ricchi di fibre (cereali integrali, legumi) – hanno minor densità calorica, sono più sazianti, rimangono più tempo nello stomaco e prevengono la stipsi. Detto questo, nel contesto di una dieta ipocalorica, le patate – che di fibre ne contengono poche – vanno bene comunque.
È anche buona norma prediligere quelli semplici, per così dire "puliti", ovvero non elaborati con altri ingredienti. Tra una brioche e del riso soffiato per la prima colazione, ad esempio, anche se apportano più o meno le stesse calorie, questi ultimi rendono più facile la gestione dei macro e la stima energetica complessiva.