Prossemica e psicologia del confronto: l'utilità delle arti marziali

Prossemica e psicologia del confronto: l'utilità delle arti marziali
Ultima modifica 27.06.2022

Nelle arti marziali tutto comincia dal contatto fisico: toccare, afferrare, prendere, colpire, lottare, sudare con e contro l'altro.

Può sembrare ovvio, immediato. Eppure, è proprio qui che si incontrano le prime resistenze, le prime difficoltà. La società moderna si basa infatti sempre più su di una comunicazione verbale ed audiovisiva, in sostanza, una cultura del non-contatto.

Questo atteggiamento, tuttavia, sta lentamente alienando ciascuno di noi; ci rende incapaci di relazionarsi in maniera "vicina". La pandemia da covid-19, purtroppo, un po' per il lock-down, un po' per il timore del contagio, ha enfatizzato enormente questa tendenza.

In tal senso, la pratica di arti marziali può risultare terapeutica, redendoci nuovamente capaci di relazionarci come "persone normali".

https://www.my-personaltrainer.it/imgs/2022/04/12/arti-marziali-e-psicologia-del-confronto-orig.jpeg Shutterstock

Iinvasione dello spazio vitale: "risposta prossemica" e psicologia del confronto

Esiste una scienza, chiamata prossemica che si occupa proprio di questo. Del modo, cioè, in cui l'uomo utilizza lo spazio intorno a sé, di come reagisca ad esso e, di come, usandolo può comunicare certi messaggi attraverso un linguaggio non-verbale.

Pensate ad una situazione: metropolitana semi-deserta.

In condizioni classiche le persone si distribuiscono automaticamente a grande distanza le une dalle altre, creando quasi, tra di loro, dei triangoli equilateri.

Pensate ora alla stessa situazione con qualcuno che vi invade. Una persona che, nonostante ci sia molto spazio, si posiziona accanto a voi, praticamente appiccicato. Cosa fareste?! No, non ditelo, la risposta è fisiologica:

La frequenza cardiaca aumenta, nel sangue viene immessa adrenalina, i muscoli si contraggono e si preparano ad un attacco.

E' una risposta ad una situazione in cui ci sentiamo in pericolo.

Classicamente, a questo punto, iniziamo a trasmettere una serie di segnali preliminari per indicare il nostro disagio (dondolare una gamba o muoverci sulla sedia).

Subito dopo, la chiusura diventa più evidente, il mento si flette e le spalle si curvano in avanti.

Se tutti questi segnali, consciamente o inconsciamente, non vengono percepiti dal nostro "invasore" allora ci allontaniamo dal luogo.

Ognuno di noi possiede proprie "bolle prossemiche", spazi all'interno dei quali ci si sente sicuri, spazi che aumentano o diminuiscono in base alla familiarità e al grado affettivo che abbiamo con l'interlocutore o la persona che ci sta accanto.

Fanno parte di noi e del nostro background socio-culturale (le popolazioni nord-africane hanno distanze prossemiche ridotte rispetto a quelle europee).

Pensate alle distanze che sono necessarie ad un ragazzo autistico per sentirsi sicuro dalle "invasioni" delle persone che lo circondano, realtà differenti, esigenze differenti.

Diventa quindi immediato di come l'esperienza del confronto (e dello scontro) sperimentata nelle discipline marziali, sia un'occasione formativa per conoscere se stessi più approfonditamente ed evidenziare le proprie modalità di comportamento in situazioni di stress.

Accettare un altro nella propria "bolla prossemica" diventa un modo per analizzare sé stessi.

L'analisi del sé, se gestita con competenza, diventa un ottimo esercizio dove "allenarsi" ad utilizzare al meglio le proprie potenzialità, un vero e proprio brain training.

Apprendere nuovi schemi di comportamento, da utilizzare nel momento del confronto, è come spiccare un salto nel vuoto. E' necessario fidarsi di chi ci sta accanto.