Tumori della tiroide
Nel precedente video abbiamo parlato dei noduli tiroidei e del fatto che in
una piccola percentuale dei casi possano assumere caratteristiche tumorali
maligne. Oggi approfondiremo proprio tale aspetto e vedremo più nel dettaglio che
cos’è il tumore della tiroide e quali forme può assumere.
Come altri organi, anche la tiroide può essere colpita da tumori benigni e
maligni. In quest’ultimo caso, si parla più propriamente di cancro. Fortunatamente,
nella grande
maggioranza dei casi, questi
tumori sono scarsamente aggressivi e curabili con relativa facilità; hanno, infatti, un
andamento clinico meno grave rispetto a molte altre neoplasie che colpiscono
altri organi.
I tumori della tiroide benigni sono nella maggioranza dei casi degli adenomi.
Questi derivano dalla crescita anomala di un gruppo di cellule, localizzato e separato
rispetto al restante tessuto tiroideo sano da una capsula fibro-connettivale.
In alcuni casi, i noduli benigni della tiroide possono provocare un ipertiroidismo.
Quando questo accade parliamo di adenoma tossico o “morbo di Plummer”. I tumori
della tiroide benigni si associano a prognosi positiva e, diversamente da
quelli maligni, non diffondono nel corpo, quindi non metastatizzano.
Solo una piccola percentuale di noduli tiroidei, circa il 5%, nasconde
dei tumori maligni.
Questi possono
essere distinti in quattro forme principali, diverse sia per tipologia di
cellule da cui sono composti, sia per aggressività e prognosi. Queste quattro
forme tumorali sono carcinoma papillare, carcinoma follicolare, carcinoma midollare e in ultimo, il più aggressivo, il carcinoma
anaplastico.
Vi sono anche casi, piuttosto rari, in cui quelli alla tiroide
sono tumori di origine metastatica e che originano quindi da altri organi,
linfomi, cioè tumori di origine linfatica, o sarcomi, derivanti dai tessuti
muscolari o cartilaginei che circondano la ghiandola.
Il carcinoma papillare e quello follicolare originano dalle cellule follicolari
che compongono il tessuto della ghiandola. Questi carcinomi, chiamati anche differenziati,
costituiscono circa il 90% dei tumori maligni della tiroide. La differenza tra
i due è che le cellule tumorali
dei carcinomi follicolari
si mimetizzano
meglio tra quelle normali, rendendo più difficile la diagnosi, e sono più aggressive rispetto
a quelle dei carcinomi papillari.
Proprio a questo proposito, è opportuno precisare subito che i carcinomi differenziati della tiroide,
se trattati adeguatamente, hanno una prognosi molto buona.
Molto più rari rispetto ai differenziati sono il carcinoma midollare e
quello anaplastico. Il carcinoma midollare deriva dalle cellule parafollicolari
secernenti calcitonina ed è spesso associato ad altri problemi di carattere
endocrino.
La forma più aggressiva e pericolosa, ma per fortuna più rara, è il
cosiddetto carcinoma anaplastico o indifferenziato. Questo tumore maligno determina
un rapido e doloroso ingrossamento della tiroide, tende ad invadere le
strutture vicine, provoca metastasi precoci ed è molto difficile da trattare.
Il tumore della tiroide è il più frequente tumore endocrino e diversi
fattori di rischio sembrano favorirne l’insorgenza. Tra questi, si ricorda l’esposizione
a radiazioni ionizzanti, accidentale o a scopi terapeutici. Tra i fattori di
rischio accertati c’è anche il gozzo, ossia la crescita benigna della
ghiandola, che, in alcuni casi, può predisporre alla trasformazione delle
cellule in senso neoplastico. Inoltre, sempre per quanto riguarda le patologie
della tiroide, esiste un’importante associazione fra la tiroidite di Hashimoto
e il linfoma maligno tiroideo.
Anche la familiarità per un tumore tiroideo è un fattore di rischio importante
da considerare. In particolare, il carcinoma midollare può essere associato ad
una sindrome, chiamata neoplasia endocrina multipla di tipo 2 (o MEN 2), che ha
una base genetica.
Il tumore della tiroide, infine, è più comune nelle donne rispetto agli uomini
ed il rischio aumenta con l’avanzare dell’età.
Le condizioni che possono far sospettare la presenza di un tumore della
tiroide sono diverse. Una delle più comuni, è l’identificazione di uno o più
noduli mediante la palpazione della regione anteriore del collo, in
corrispondenza della ghiandola. Tuttavia, è necessario ricordare che non tutti i
noduli tiroidei nascondono forme di cancro. Anzi, spesso sono semplicemente il segno della cosiddetta iperplasia
tiroidea, che è un’eccessiva crescita benigna del tessuto tiroideo.
Un tumore della tiroide è più facilmente maligno se il nodulo raggiunge
le dimensioni di una massa. A volte, il primo segno a comparire è un linfonodo
ingrossato. In altri casi si avverte la sensazione di oppressione a livello del
collo.
I sintomi in fase avanzata possono comprendere cambiamenti nella voce e
difficoltà nel deglutire e nel respirare, per il coinvolgimento delle strutture del collo
adiacenti. Un nodulo neoplastico può anche essere associato alla sintomatologia
di ipertiroidismo o ipotiroidismo.
Dopo il riscontro di un nodulo tiroideo durante un esame fisico, in
genere, il medico prescrive una serie di analisi per misurare la funzionalità
tiroidea e identificare un’eventuale alterazione patologica dei livelli
ormonali. Gli esami del sangue, quindi, comprendono il dosaggio di ormoni
tiroidei e TSH, anche se spesso, in presenza di un tumore tiroideo, questi
livelli risultano nella norma.
La
determinazione della calcitoninemia, serve, invece, ad escludere il carcinoma
midollare, che si caratterizza per la presenza di elevati livelli circolanti di
calcitonina.
Passando alle indagini strumentali, oggi l’esame più semplice e specifico
per studiare la tiroide è l’ecografia. Questa permette di identificare i
rapporti del nodulo con la ghiandola e con i tessuti circostanti; inoltre, consente
di riconoscere alcuni caratteri di benignità o di sospetta malignità.
Un altro esame molto utile è la scintigrafia tiroidea, che permette di definire il nodulo in base alla
sua attività endocrina. Questo è possibile grazie alla somministrazione di un mezzo
di contrasto radioattivo iodato che viene accumulato dal tessuto tiroideo con
una affinità forte o debole. In altre parole, i noduli della tiroide, rispetto
al normale tessuto, possono risultare ipercaptanti o caldi, se accumulano più
isotopo radioattivo rispetto al tessuto circostante; in questo caso alla
scintigrafia appaiono molto colorati; al contrario, i noduli che non inglobano
lo iodio radioattivo si definiscono freddi. I noduli tiroidei caldi, di regola,
non sono maligni, mentre i noduli freddi possono nascondere un tumore. Uno dei
metodi utilizzati per confermare con certezza la diagnosi di cancro della
tiroide è l’esame citologico mediante agoaspirato. Durante questa procedura
viene inserito, sotto guida ecografica, un ago sottile attraverso la cute, per
prelevare un campione di materiale dal nodulo, poi esaminato al microscopio. Un
ulteriore approfondimento diagnostico può essere ottenuto con una TAC o una
risonanza magnetica, per identificare le possibili sedi di diffusione della
malattia.
Il
trattamento di prima scelta per la cura del tumore della tiroide è la chirurgia:
l'asportazione coinvolge, di solito, tutta la ghiandola, nonché gli eventuali
linfonodi interessati. Dopo l'intervento, non essendoci più la tiroide, viene prescritta
una terapia ormonale sostitutiva, cioè a base di ormoni tiroidei sintetici come
la levotiroxina sodica. A completamento delle procedure terapeutiche, il
paziente può essere sottoposto a terapia con iodio radioattivo. Questo trattamento, definito
radiometabolico, permette di eliminare
l’eventuale tessuto tiroideo residuo e
prevenire le metastasi. Lo iodio radioattivo, infatti, raggiunge le cellule
tiroidee cancerose avide di iodio, che lo usano
per produrre l’ormone tiroideo. La radiazione emessa dall’isotopo radioattivo,
trasportato nel nucleo della cellula tiroidea, la distrugge.
Per
quanto riguarda invece la chemioterapia, questa è in genere limitata ai tumori
che hanno già dato metastasi a distanza.